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Brand journalism: quando l’azienda fa informazione

Fare brand journalism è una strategia vincente sul mercato? Che cosa succede quando è l’azienda a fare informazione? Bombardate da tendenze vecchie e nuove, le imprese non sanno più rispondere a questa domanda. La comunicazione sul web e social media corre veloce, le opzioni per parlare a clienti finali, partner, dipendenti si sono moltiplicate. Ogni istante può essere oggetto di un’azione di brand identity e i trend emergenti portano altri nomi: content marketing, video, mobile advertising. Ogni azione è una scelta, più o meno consapevole, di inbound marketing, ossia un tentativo di generare interesse verso la tua azienda.

Per le piccole e medie imprese, soprattutto, avere il giusto budget per la comunicazione è una sfida. La seconda sfida è comprendere da che cosa iniziare: pubblicare un magazine on line, diffondere un house organ, aprire un blog, creare una pagina Facebook …

 

Brand journalism: definizione

Che cos’è il brand journalism?  fare informazione su un marchio con un linguaggio giornalistico e non pubblicitario #brandjournalism Condividi il Tweet
La definizione è utilizzata con efficacia per la prima volta da Larry Light nel 2004. Lo Chief Marketing Officer di McDonald’s, aveva capito che le vecchie modalità di advertising stavano perdendo molto del loro potere persuasivo sui clienti finali.
Molto prima di Light, la storia degli uffici stampa e della comunicazione aveva preparato il terreno del giornalismo d’impresa.
Già dai primi del Novecento, le aziende statunitensi capirono che si poteva comunicare al pubblico, con successo, tramite vari canali. Uno di questi era l’ufficio stampa, dove i giornalisti avevano la chance di orientare i contenuti delle testate. La seconda opzione? Diventare editori: rivolgersi direttamente ai lettori, con un proprio organo di informazione. Fu un’impresa di macchine agricole, John Deere, a cogliere l’occasione pubblicando, nel 1985, “The Furrow”, rivista per gli agricoltori. “The Furrow” diventò un successo editoriale ed è letta, oggi, da circa 2 milioni di persone in tutto il mondo.

 

House organ: il giornale aziendale

Anche in Italia, nella prima metà del Novecento le imprese adottarono strategie per promuovere il marchio aziendale. L’house organ o giornale aziendale fu uno strumento di corporate branding molto diffuso. Il giornalino aziendale talora si vendeva anche in edicola; spesso era distribuito per abbonamento, in molti casi era riservato a dipendenti e rete di partner. I destinatari dell’house organ potevano essere diversi. Alcuni giornali aziendali pubblicavano notizie sul marchio soprattutto ai consumatori; altri erano concepiti come organi di informazione interna.
Prima della rivoluzione Internet e del web 2.0., l’house organ era considerato un ottimo canale di comunicazione del marchio. La rete ha cambiato tutto ma, negli ultimi due anni, il numero di giornali aziendali in formato cartaceo è di nuovo in crescita.

 

Brand journalism: esempi

Gli esempi di brand journalism efficaci sono parecchi e non solo in lingua inglese. Nonostante molte grandi imprese non rinuncino alla pubblicità su radio, Tv e giornali, riconoscono la necessità di fare informazione sul web, con magazine veri e propri. Coca-Cola, Cisco, Red Bull, Sorgenia, sono tra i marchi più noti: per comprendere il loro successo basta leggere gli articoli on line. Il magazine Sorgenia tratta di bici elettriche, orti in affitto. Sulle pagine di RedBull si può leggere l’intervista a un rapper di grido: quale relazione con il marchio? La ragione di queste scelte editoriali sta nei lettori. Sorgenia offre energia rinnovabile: il suo magazine è rivolto a persone sensibili ai temi di ambiente e sostenibilità. RedBull ha un panel di consumatori giovani interessati, tra l’altro, a musica e sport.
La chiave di questo nuovo modo di fare informazione sul brand è questa: i testi del magazine sono articoli di giornale, non messaggi pubblicitari.

 

Brand journalism o content marketing?

18.2Quale è il modello migliore per fare comunicazione d’impresa? Brand journalism e content marketing sono così diversi? Azzardiamo una definizione.
Il “giornalismo di brand” nasce come informazione dall’alto, una modalità quasi broadcasting, unidirezionale. Il content marketing vive nel web 2.0: i contenuti nascono per web e i social media, crescono se vengono commentati, condivisi, se dal content creator si scatena l’effetto virale del passaparola.
In un giornale aziendale, l’azienda produce la sua informazione e la trasmette ai suoi lettori; in una pagina Facebook, il post vive delle interazioni con la community e parte dei contenuti è scritta dalla community stessa.
Brand journalism e content marketing non sono in contraddizione: anzi, spesso si sovrappongono.
Un blog aziendale, ad esempio, nasce con contenuti decisi da una strategia a monte, ma può arricchirsi di commenti e condivisioni dal basso.
Una strategia di marketing che punta a coinvolgere l’utente, fare engagement con contenuti video e di intrattenimento, potrà aggiungere talora interviste lunghe, filmati con informazioni utili.
Per finire, vuoi sapere che cosa fece Larry Light nei primi anni Duemila? Invitò un gruppo di mamme in visita nei McDonalds, perché vedessero con i loro occhi che cosa accadeva dentro un fast food. Oggi molte aziende seguono questo modello, chiamando blogger e influencer a parlare di loro.
Brand journalism e content marketing nascono, come vedi, da una stessa esigenza: andare incontro alle esigenze dei consumatori, e far sì di essere ricordati al momento della decisione di acquisto.

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