Il connubio tra comunicazione politica e social network è tema scottante da un paio d’anni e resterà attuale anche nel 2018. Facebook ha il potere di influenzare il voto? I tweet di Trump gli hanno fatto vincere le elezioni presidenziali in Usa? La propaganda politica usa fake news e tecniche di neuromarketing per influenzare l’opinione pubblica?
Probabilmente la risposta a tutte queste domande è “sì”, ma la argomentazioni sono un po’ più complesse di quello che può sembrare.
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Per capire come è cambiata la propaganda politica nell’era web 2.0., serve un po’ di pazienza.
Il rapporto tra comunicazione politica e social network, oggi, ha due note caratteristiche:
- riduce la distanza con i cittadini (o almeno così sembra);
- tale distanza non è più univoca, perché tutti gli utenti possono intervenire.
Si riduce la distanza tra politici e cittadini?
Politica e social media uniti contribuiscono alla percezione del fatto che un personaggio pubblico sia in fin dei conti un volto familiare. Sarà perché questi tende a mostrarsi anche contesti privati, perché il suo messaggio è diretto e ha un linguaggio semplice, o perché la sua presenza è costante, ripetuta. I politici molto attivi su Facebook pubblicano post frequenti, hanno familiarità con fotografie e video. C’è di più: i politici più abili con il web 2.0. sanno intercettare esigenze nuove, vanno a coprire spazi che il politico tradizionale neppure immagina.
Le elezioni presidenziali Usa del 2016 sono un ottimo esempio di propaganda web 2.0. Già Barack Obama aveva condotto una campagna elettorale avvalendosi di un sapiente uso di Internet e dei canali social, oltre che di un mezzo tradizionale, ma sempre strategico, come la fotografia.
Con Donald Trump le potenzialità dei social media sono state amplificate. Secondo recenti articoli, Trump si sarebbe servito di una profilazione accurata degli utenti di Facebook, mostrando, a ciascuna fascia di pubblico, contenuti mirati.
Secondo alcuni analisti, c’è il sospetto che target così precisi siano stati raggiunti dallo staff di Trump con tecniche non lecite.
A quasi un anno dall’elezione del Presidente degli Stati Uniti, si è persino parlato di fake news, divulgate allo scopo di danneggiare l’immagine di Hillary Clinton; ma il punto non è questo, quanto semmai che
Comunicazione disintermediata: un’illusione
L’apparente vicinanza tra cittadini e personaggi pubblici ha fatto pensare a un contesto disintermediato e l’immediatezza di immagini, video, post e tweet effettivamente induce a crederlo.
In realtà, il rapporto tra comunicazione politica e social network è qualcosa di diverso. Ogni personaggio pubblico si avvale di collaboratori, quando non di una media agency specializzata, che gestisce la sua immagine: quello che viene postato sui social è frutto di una strategia. I professionisti della comunicazione fanno da mediatori tra l’opinione pubblica e il politico. Ciò che noi vediamo, dal colore della camicia al sorriso che questi sfoggia di fronte al camino, non è mai una scelta casuale.
Sappiamo inoltre che i contenuti presenti sui social media rispondono ad algoritmi e regole precise: la vicenda di Trump conferma che è possibile andare molto oltre.
Propaganda politica: un po’ di storia
Dal punto di vista degli obiettivi, il rapporto tra comunicazione politica e social network non è diverso dagli altri canali di propaganda. Un buon manuale di storia ci mostrerà che, da sempre, politici, movimenti religiosi, istituzioni, hanno cercato di influenzare le opinioni del pubblico con gli strumenti a loro disposizione: con pamphlet e predicatori, usando modalità di persuasione fondate su leve emotive.
La grande svolta nelle tecniche di propaganda, però, è arrivata nel Novecento, con i mezzi di comunicazione di massa. Sono state radio e televisione a permettere alla comunicazione politica di influenzare il pubblico in misura sempre maggiore. Quello che vediamo creare oggi sui social network, dal senso di appartenenza alla creazione di un “nemico” comune da combattere, non è altro che lo sviluppo di metodi, a volte, molto antichi.
Che cosa è cambiato, allora, nel rapporto tra comunicazione politica e social network?
I social hanno una caratteristica peculiare: il rapporto tra politici e cittadini è bidirezionale. Il messaggio televisivo è un podcast, cioè il trasferimento di un messaggio da uno a molti.
Sui social network gli utenti rispondono, commentano, condividono. I contenuti creati dagli utenti diventano parte del messaggio politico: possono ingigantirne la portata, come una valanga di neve, facendo diventare virale un semplice post.
Questo carattere unico dei social media è considerato un vantaggio per il politico. Nella maggior parte dei casi lo è, ma c’è un dettaglio. Il grado di influenzabilità degli utenti è in divenire: le persone cambiano, usano il web in modo diverso, acquisiscono familiarità e confidenza con il linguaggio del web, a volte si disaffezionano e modificano il loro grado di fiducia nei confronti delle fonti.
I contenuti virali sono imprevedibili: si diffondono secondo dinamiche che possono sfuggire al controllo del social media manager. Anche la profilazione può accurata non difende da un dato che ancora caratterizza gli esseri umani: cambiamo idea e non sempre ne diciamo il motivo.